Per decenni il lavoro è stato il tema centrale della politica e del pensiero politico. Oggi, il tema sembra essere stato completamente abbandonato, relegato in un angolo della nostra vita e, comunque, abbandonato dalla politica.
Eppure ci sarebbe tanto su cui riflettere e da dire proprio oggi che il lavoratore sente sempre di più la solitudine e l’abbandono nella fabbrica come in campagna, negli uffici pubblici come negli studi privati.
Un dibattito che sicuramente manca a livello nazionale, ma che anche a livello locale è totalmente assente. Certo, ogni tanto compare sui giornali qualche notizia in merito a vertenze di vario tipo, a questa o a quella azienda in crisi, alla cassa integrazione della FCA di San Nicola di Melfi, ma è tutto qui.
La politica, anche quella regionale, dovrebbe iniziare invece a parlarne con uno sguardo più ampio per cercare di comprendere meglio evoluzione ed involuzione del mondo del lavoro.
Siamo sempre più schiavi e sempre meno lavoratori, sempre più soggetti al ricatto del licenziamento, della perdita del posto di lavoro, della povertà e questo ci rende meno liberi di parlare, di protestare, di rivendicare, di far rispettare i diritti.
Questo è un problema che non può essere messo da parte, liquidato con due parole, la politica, noi tutti abbiamo il dovere di occuparcene. Penso ai tanti operai della FCA di Melfi o agli stessi operai del COVA di Viggiano o, ancora, ai lavoratori dell’inceneritore “Fenice”. Gente costretta a lavorare in condizioni difficili, esposti in prima linea all’inquinamento di queste fabbriche, ma allo stesso tempo impauriti per la possibilità di perdere l’unica fonte di sostentamento che hanno per loro e per le loro famiglie.
Oggi, per loro come per tanti altri, non esiste nessuna tutela reale e nessun sostegno, oggi per costoro non esiste nessuna possibilità di alzare la voce per rivendicare maggiore rispetto ed attenzione. Eppure in gioco sono anche le loro vite, la loro salute, la qualità del loro tempo.
Forse è tempo di fermarsi un attimo per pensare anche a questi aspetti non certo secondari, iniziare a ragionare su che sviluppo intendiamo perseguire e che prezzo intendiamo pagare. Una intera generazione di giovani sicuramente è già stata sacrificata in nome di uno sviluppo economico molto discutibile, vogliamo continuare a sacrificare altri giovani, altre vite, altre famiglie?
Personalmente credo che una delle sfide della politica nazionale, ma anche di quella lucana, deve essere proprio quella di ripensare il lavoro, i rapporti di lavoro, gli equilibri, una sfida che anche il Movimento 5 Stelle di Basilicata deve saper accettare per riscrivere la storia di questa Regione.
In questa direzione vogliamo riportare i 5 passi che il Movimento 5 Stelle ha individuato per tornare a crescere e bloccare la fuga dei giovani italiani e che ha illustrato Luigi Di Maio nell’ambito del festival del Lavoro di Torino svoltosi nei giorni scorsi.
Si tratta di misure che mirano a costruire l’architettura di uno Stato intelligente, vale a dire di una “Smart nation” che sia in grado di adeguarsi ai grandi cambiamenti economici aprendo nuove opportunità occupazionali. Chi ci ha governato finora si è sempre guardato indietro, noi abbiamo deciso di guardare avanti. In questo modo:
1. Lo Stato “incubatore”: è una delle cose che ci sta più a cuore, perché non possiamo rimanere con le mani in mano mentre il mondo del lavoro sta cambiando. Il nostro obiettivo è agevolare lo sviluppo di nuove professioni legate all’innovazione tecnologica e sostenere la nascita di nuove start up, che creano a loro volta nuovi posti di lavoro. Da qui al 2025 circa il 50% dei lavori saranno lavori creativi e il 60% delle professioni che conosciamo oggi si trasformerà o sparirà. L’Italia deve essere pronta a salire sul treno dell’innovazione, perché altrimenti perderemo la possibilità di impiegare i giovani che abbiamo all’estero e quelli che si stanno formando adesso. Per farlo dobbiamo investire, non solo con strumenti come quello del venture capital, ma anche con investimenti pubblici nei settori strategici. Bisogna pensare anche alla creazione di una banca pubblica che sostenga le imprese innovative e faccia credito a tassi agevolati, come hanno già fatto Paesi come la Francia e la Spagna. La Rete e le nuove tecnologie sono un’opportunità enorme: se l’Italia avesse una diffusione di Internet pari a quella della Francia ci sarebbero 186.000 occupati in più. Se fosse pari a quella dell’Olanda avremmo un incremento di 270.000 posti di lavoro. Noi questo gap con gli altri Paesi europei dobbiamo colmarlo.
2. Disinstalliamo il Jobs Act, con cui hanno precarizzato anche il tradizionale lavoro a tempo indeterminato. Dopo i 3 anni di incentivi occupazionali, costati circa 20 miliardi, le aziende hanno iniziato a licenziare. A luglio 2017 i dati ISTAT segnalavano contemporaneamente aumento del tasso di occupazione, ma contestualmente anche un incremento del tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 35,5%. Ma innanzitutto bisognerebbe valutare la qualità del lavoro creato. Nell’ultima nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione, infatti, è stato scritto nero su bianco che su base annua, a fronte di 437 mila nuovi posti di lavoro, la grandissima parte cioè 329.000 sono a tempo determinato. Questo vuol dire che ad aumentare è principalmente il lavoro precario. E che il Jobs Act va cancellato quanto prima.
3. Rafforziamo i Centri per l’impiego, che sono lo strumento pubblico con cui lo Stato dovrebbe agevolare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Nella nostra proposta per il Reddito di cittadinanza prevediamo una spesa di 2,1 miliardi proprio per questo scopo. Lo facciamo migliorando la selezione e la formazione del personale e anche informatizzando il servizio e ricorrendo, perchè no, ad un’applicazione ad hoc. L’obiettivo è fare in modo che le funzioni di formazione e orientamento dei disoccupati siano reali.
4.Anche i sindacati dovranno autoriformarsi e adeguarsi alle trasformazioni in corso nel mondo del lavoro, perché altrimenti il rischio è che non siano più in grado di dare risposte adeguate ai lavoratori. Se sarà necessario intervenire per agevolare questa riforma dei sindacati, lo faremo.
5.Cambiare la Legge Fornero: vogliamo introdurre equità nelle pensioni, perché è assurdo pensare che si debba accedere alla propria pensione solo dopo 68, 69 o 70 anni di età. Bisogna pensare seriamente a cosa fare con l’adeguamento alla speranza di vita per permettere un effettivo turn over tra giovani e anziani.
L’Italia ha tutte le carte in regola per ridare dignità a chi ha lavorato per una vita e per tornare ad attrarre i suoi giovani, per restituire loro, e a quelli che hanno scelto di rimanere, un lavoro adeguato e una speranza per il futuro: il MoVimento 5 Stelle sta lavorando per questo.
Gianni Leggieri
Capogruppo M5S Basilicata