Negli ultimi giorni dello scorso luglio, la Giunta, anche grazie ad una nostra sollecitazione, annunciava di proporre ricorso straordinario al Capo dello Stato (i termini per il ricorso al TAR erano scaduti) impugnando il decreto Trivelle del 7 dicembre 2016 in ragione della lesività delle prerogative costituzionali riservate alle Regioni” come riaffermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 170 depositata il 12 luglio 2017. L’impugnato decreto del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ha approvato, senza preventivo coinvolgimento delle regioni, il “disciplinare tipo” in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e gas.

Probabilmente sensibile alle “sirene” lobbistiche del settore oil & gas, nonostante il nuovo schiaffo ricevuto dai giudici costituzionali, il MISE ha fatto “orecchie da mercante” approvando il 9 agosto scorso alcuni “adeguamenti” al precedente decreto MISE del 7 dicembre 2016 che rappresentano una vera e propria presa in giro delle prerogative di regioni e cittadini. Che ha fatto il Ministro Calenda? Invece di riscrivere insieme ai rappresentanti delle regioni, riuniti nella Conferenza Stato Regioni, l’intero disciplinare tipo,  per la terza volta ne ha pervicacemente sfornato uno che elude le sonore lezioni ricevute dalla Corte Costituzionale, ignorando del tutto le regioni e limitandosi semplicemente a coinvolgerle per stabilire le modalità di assegnazione del titolo concessorio unico(titolo unico peraltro finora mai concesso a nessuna società petrolifera). Il titolo concessorio unico è riproposto nel D.M. 9 agosto 2017 e se ne vincola la concessione  (come per gli altri titoli minerari: permesso di ricerca, permesso di prospezione e concessione di coltivazione in terraferma) all’esito di una conferenza di servizi a seguito di intesa della regione coinvolta: l’intesa, nei fatti, di tipo “debole” (se non si raggiunge l’intesa, alla fine decide il Governo).

Rimangono, quindi, intatti anche per il nuovo decreto MISE 9 agosto 2017 i conclamati vizi di costituzionalità sulla base dei quali è stata disposta dalla Giunta Regionale della Basilicata (nonché da altre regioni) l’impugnativa del precedente Decreto MISE del 7 dicembre 2016. L’intenzione di Calenda è chiarissima: imporre alle regioni una disciplina delle trivellazioni decisa esclusivamente nei palazzi governativi di Roma.

Insomma, l’ennesimo atto di prepotenza e di sgarbo istituzionale. Di fronte al quale occorre ribadire la tutela delle prerogative regionali nella difesa e tutela del proprio territorio. Appare necessario e urgente che la Regione Basilicata faccia sentire forte la propria voce e confermi la posizione assunta già a fine luglio, procedendo, dunque, ad impugnare innanzi alla Corte Costituzionale il nuovo Decreto MISE 9 agosto 2017 (pubblicato in Gazz. Uff. n. 195 del 22 agosto 2017).

A questo proposito abbiamo depositato una mozione che speriamo venga discussa nella prima seduta utile di Consiglio Regionale onde evitare invii via posta elettronica certificata che, come abbiamo visto, scatenano il risentito e piccato risentimento di qualche consigliere di maggioranza. Se ne facciano una ragione i sostenitori delle trivelle e i loro amici romani e lucani: il nostro chiodo fisso è difendere la Basilicata dalla crescente aggressione petrolifera.

Qui il testo della mozione  

Gianni Perrino
Portavoce M5S Basilicata – Consiglio Regionale

 

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