La settimana scorsa il Tribunale del Riesame, respingendo la richiesta di dissequestro avanzata da ENI, ha definito la perizia depositata dai Pubblici Ministeri di “chiarezza adamantina”.
Confidiamo nel lavoro della magistratura e registriamo anche la presa di posizione dell’ENI che ribadisce “la correttezza del proprio operato e conferma che il Centro Olio Val d’Agri rispetta le best practice internazionali”. Certo, un sorriso amaro hanno suscitato le parole di Descalzi che annunciavano l’avvio di un progetto per la produzione di energia rinnovabile in varie zone del globo terracqueo. “Non è operazione di immagine” ha assicurato l’A.D. di ENI. Invece, i tanti paginoni dei quotidiani appositamente comprati da ENI per distrarre l’opinione pubblica dal marcio che emergeva dalle fiammate del centro oli? Erano parte di “un’operazione di immagine”?
Sono ancora numerosi i misteri e enigmi da risolvere in una terra, quella di Basilicata, che negli ultimi decenni, complice la politica, è stata ripetutamente devastata. Le trivellazioni non sono circoscritte alla sola area di Viggiano o nei feudi della ex Sindaco di Corleto Perticara, la “famosa” Vicino, e dei Robortellas, ma sono sparse un pò su tutto il territorio lucano, come metastasi che appaiono invincibili.
Qualche giorno fa, parlando della presunta sostenibilità delle estrazioni petrolifere, abbiamo sollevato nuovamente il caso delle sorgenti radioattive (metodica di propsezione usuale nella tecnica di trivellazione denominata “fracking”, formalmente vietata in Italia), sorgenti utilizzate in agro di Corleto e presso il pozzo petrolifero “Gorgolione 2 St Quater”. Le carte parlano chiaro e ci dicono che a Gorgoglione una sonda, “contenente sorgenti radioattive” si è incastrata nelle viscere della terra, e lì è stata abbandonata (“abbandono controllato”). L’incastro di attrezzature (sonde) contenenti sorgenti radioattive (sorgente radioattiva di Cesio 137 da 63 GBq e un generatore di neutroni con targhetta Tritio da 55,5 GBq ovvero “gigabecquerel”) è avvenuta in data 15/02/2012 a 7100 metri di profondità. Dopo aver invano tentato di pescare le sonde, il giorno 9 marzo 2012, Schlumberger e Total hanno deciso di abbandonare le stesse unitamente alla batteria di pescaggio e realizzare un tappo di cemento da 5990 metri a 5850 di profondità. L’ISPRA ha effettuato delle misure di intensità di esposizione sia a 100 metri dal pozzo che nelle immediate vicinanze della testa del pozzo: tali misure non si discostano dal valori di circa 50 nSv/h che può essere considerato come “fondo ambientale”.
Il dato di fatto appare quindi chiaro: dal 2012 nelle viscere della terra, a pochi chilometri da Gorgoglione, giace uno strumento altamente radioattivo che è stato “messo in sicurezza” solo con un tappo di cemento. Le domande che poniamo alla giunta Pittella sono semplici: cosa è stato fatto per monitorare la situazione? Siamo certi che le sonde radioattive in questione non abbiano contaminato eventuali falde acquifere nelle vicinanze?
Pittella, anzichè trattare il Consiglio Regionale come la bottega personale nella quale sperimentare il “Partito della Nazione”, si occupi, ogni tanto, dei veri problemi dei cittadini lucani: faccia chiarezza su queste situazioni. L’invito a fare lo stesso è rivolto anche ai vari Cifarelli e Lacorazza, che nelle settimane antecedenti al referendum del 17 aprile scorso si sono stracciati le vesti in nome della tutela dell’ambiente e della salute, inneggiando spesso alla green economy. Noi del M5S Basilicata, di green, in una sonda altamente radioattiva abbandonata nel sottosuolo, ci vediamo davvero molto poco!
Qui testo interrogazione
Gianni Perrino
Portavoce M5S Basilicata – Consiglio Regionale