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Da qualche mese la nostra tormentata regione è sede di un “nuovo” esperimento che mira a “innovare” le tecniche e le metodologie produttive. Stavolta non si tratta dell’ultimo presunto ritrovato nel settore delle estrazioni petrolifere, bensì della sbandierata “nuova organizzazione del lavoro” applicata dal manager “top of the top” Marchionne allo stabilimento FIAT (anzi Fiat Chrysler Automobiles, FCA) di San Nicola di Melfi. Se n’è parlato lunedì pomeriggio a Potenza, nel corso di un incontro organizzato dalla Cgil e della Fiom cui ha partecipato il portavoce del M5S Basilicata, Gianni Perrino.
Sinceramente, più che di nuove catene di montaggio ci aspettavamo reali “innovazioni di prodotto”: auto elettriche o auto ad idrogeno, ad esempio. Insomma, di qualcosa di veramente rivoluzionario nel campo dell’automotive. Le idee di Marchionne per FCA, invece, appaiono trasmettere un’idea di fabbrica da fine ottocento: in nome della Grande Punto, della Jeep e della 500X migliaia di lavoratori, veterani e nuove leve, stanno sperimentando nuovi turni e “nuove” tecniche di lavoro alla catena di montaggio che richiamano il capolavoro di Charlie Chaplin, “Tempi Moderni”, datato 1936. Certo, per lo stabilimento di Melfi essere il “polo” di punta per una multinazionale come FCA, comporta dei costi che, ovviamente, vengono interamente scaricati sui lavoratori: i top manager e proprietà non ci pensano proprio a limare, anche solo di qualche decimale, i loro introiti e i loro profitti.
I lavoratori sono quindi costretti a turni estenuanti, all’aumento dei carichi di lavoro, ad adattarsi ai cambiamenti sulla linea e nelle postazioni e posizioni di lavoro. Il passaggio poi a 20 turni settimanali porta Melfi ad essere il primo stabilimento Fiat a ciclo continuo. Turni che iniziano il lunedì e terminano la domenica mattina; per fortuna c’è la domenica pomeriggio per tentare di ricostituire un minimo di energia psico-fisica e per stare in famiglia, con marito, moglie e figli.
Le idee di Marchionne paiono un rigurgito del peggior taylorismo o “toyotismo”. In ogni caso, sono idee stantìe, decrepite, che odorano di 1800.
Basterebbe riprendere alcuni classici dell’economia e del pensiero critico. Ad esempio, Marx ed Engels definivano alienazione la condizione di “autoestraniazione del lavoratore salariato rispetto al prodotto della sua attività lavorativa” ma anche “rispetto all’attività che compie”. Il sociologo Richard Sennet (richiamando Pico della Mirandola, Adam Smith, Kant, Weber, Lippmane Saksia Sassen) nei suoi libri “L’uomo flessibile” e “L’uomo artigiano” ha contrapposto il lavoro ripetitivo e “forzato” (causa di inevitabile “corrosione”, demolizione del carattere e della stessa integrità psico-fisica del lavoratore) al lavoro creativo e, quindi, libero, fonte, quest’ultimo, di soddisfazione, di benessere e di spinta al miglioramento continuo.
Ovviamente chi è al potere non fa nulla per elevare lo status dell’operaio, ma si prodiga sempre più affinchè il padrone disponga di comodi e vellutati “tappeti rossi” per aumentare le proprie rendite speculative e fare profitto a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori. Non una parola sui nuovi metodi ottocenteschi di Marchionne è stata proferita da Pittella jr: il quale, al contrario, annovera la situazione lavorativa in FCA come un suo “personale successo”.
Nonostante decenni di aiuti di Stato abbiano permesso a FIAT (oggi FCA) di evitare il baratro, ecco pronto un altro regalo per Marchionne: il “Jobs Act” che si porta con sé il contratto a (presunte) “tutele crescenti”. Una legalizzazione del precariato a vita: in spregio ai più elementari diritti costituzionali, Renzi ha definitivamente introdotto la totale libertà di licenziare, anche senza giusta causa, in cambio di qualche migliaio di euro. Pochi spiccioli: tanto vale la dignità dei lavoratori per Renzi.
Col Jobs Act lavoratrici e lavoratori diventano vera e propria “carne da macello” nel tritacarne di un mercato globalizzato nel quale poche multinazionali, come FCA, competono (o fingono di competere) tagliando unicamente i costi (e i diritti) del lavoro, delocalizzando, e facendo un drammatico “dumping” sociale. Se non si cambia radicalmente il paradigma ovvero il modello di sviluppo, se non si torna a investire e puntare sulla ricerca, sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti tra poco, anche per quel che resta di una (sbiadita e incolore) rappresentanza sindacale, ci sarà ben poco da contrattare.
Anche gli accordi al ribasso accettati negli ultimi anni, e che sono già costati lacrime e sangue ai lavoratori, non saranno serviti a nulla. E l’impressione (terribile) è che, per i lavoratori FCA, non ci sarà nemmeno più il tempo di andare “senza pensieri dagli amici a Moncalieri” (cit. Rino Gaetano – l’operaio della FIAT 1100).
Capogruppo M5S Basilicata
Gianni Perrino