L’Agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che considera l’intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell’ambiente in cui opera e limita o esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi.
Il prodotto biologico non è solo un prodotto ottenuto senza l’uso fitofarmaci. I fitofarmaci sono l’ultima cosa, non vengono utilizzati se la pianta sta bene, non sono la magia. Noi non ci alziamo la mattina e facciamo colazione con gli antibiotici. Per stare bene e produrre la pianta si deve adattare a vivere alle condizioni di quel comprensorio ed in quel clima. In questo modo la natura porta avanti i geni migliori e causa la scomparsa di quelli meno utili. Questa si chiama selezione naturale che i nostri nonni conoscevano benissimo quando selezionavano il miglior frutto della migliore pianta. Come ad indicare che la condizione di benessere fenotipico sia essenziale per la riuscita di una coltivazione futura. Si conservavano i semi, si prestavano i semi, si scambiavano i semi come se fosse merce rara.
La globalizzazione ha permesso alle multinazionali di selezionare sistemi che consentono solamente di fare utili, non rispettano la territorialità. Il sistema globalizzato non ci permette di conservarci i semi perché sono merce rara ed utilizzata da pochi. Il sistema è talmente integrato nella nostra vita quotidiana che facciamo fatica a ritrovare piante o animali presenti nelle nostre abitudini quotidiane. Qualcuno provasse a ritrovare il nostro vecchio “tacchino comune detto anche nostrano” (nero d’Italia, di Benevento, di Parma..etc) sostituito da selezioni americane a rapida crescita ed a immediata morte.
A volte il tetto deve caderti sulla testa per farti vedere la stelle!
La Politica Agricola Comune ha regolato lo sviluppo dell’agricoltura in Italia anche se non sempre in modo perfetto. Abbiamo perso la sovranità alimentare, territoriale, della salute. Cedendo sovranità chi la ottiene ha un maggior potere verso le nostre vite e maggiori scelte verso la nostra quotidianità. La sovranità alimentare(es.cirio, bertolli, de rica) ci è stata tolta in silenzio quasi senza accorgersene (vedi il pullulare della grande distribuzione e dei grandi magazzini). Se la grande distribuzione è in mano a stranieri in genere, allora l’approvvigionamento è deciso a tavolino nei modi e nei tempi a loro più consoni. Non ha importanza dove si produce il grano e quante famiglie possono aver reddito da quella coltivazione, a loro interessa il profitto. Il tavoliere delle puglie era considerato la culla del grano duro nel mondo. I nostri prodotti hanno conquistato le tavole di tutto il mondo. Attualmente le maggiori aziende nel settore della trasformazione ritirano tutto il grano dall’estero. Tonnellate di grano duro raggiungono il porto di Bari a turni periodici a prezzi incomprensibilmente competitivi.
Conclusione : le zone interne , le nostre colline vengono completamente abbandonate , non c’è più ricambio generazionale. Abbandonare i terreni diventa estremamente pericoloso per l’ambiente, (cinque terre, costiera amalfitana ect ). Non abbiamo sovranità più sul grano sui cereali , sul latte, sulla carne. Così come diminuisce la capacità di ricerca, di sperimentazione di scelta di nuove o vecchie varietà. Se da una parte il mondo agricolo cerca disperatamente di essere in linea con i tempi moderni dall’altra ci impongono di acquistare varietà francesi, spagnole le quali collassano dopo pochi anni di coltivazione.
E’ palesemente evidente facendosi un piccolo giro per le campagne, quanti ettari di terreno scompaiono ogni anno o addirittura vengono abbandonati. Perdere superficie coltivabile significa non solo perdere territorialità e sovranità alimentare ma anche quel know how ossia “saper come”… si fanno certe cose in agricoltura tramandate dai nostri nonni e che mai più saremo in grado di conoscere. Ma nonostante tutto l’unico capitale (….ancora pericoloso) prontamente disponibile in un prossimo futuro è quello della TERRA.
Giovanni Lasalandra