Ma di che cosa ci fregiamo? Di un paesaggio mozzafiato, nascosto nella valle spaccata dal torrente Gravina, quello che per i nostri avi è stato l’unico rigagnolo a disposizione che di certo non poteva bastare a che si sviluppasse un centro abitato.Da qui l’ingegnosità del sistema di raccolta delle acque, dei canali scavati a partire dai crinali di tufo giù giù fino alle cisterne, delle neviere.
Questo è il motivo per cui nel 1993 l’UNESCO ha incluso Matera tra i siti da tutelare, patrimonio mondiale dell’umanità. Ma che cosa resta di tutto ciò? In questo ‘ventennio’ si è visto di tutto: cisterne che diventano halls di alberghi, interventi di occlusione dei tratti dei canali che vi portavano acqua, interventi di ‘riqualificazione’ spesso discutibili e lasciati all’improvvisazione di aziende impreparate a svolgere un lavoro così delicato.
Nessun governo cittadino ha mai realmente cercato di programmare un piano di interventi armonizzato e qualificato. L’unico aspetto che si è privilegiato è stato, come spesso accade, quello economico. Ma non di economia collettiva si tratta, solo di affari per pochi eletti. E il fluire del torrente, che una volta accompagnava il sonno dei contadini ‘confinati’ negli antichi rioni di tufo, cullandone le stanche membra con il suono che ne risaliva, disvela oggi qualcosa di sinistro. Qualcosa che ignoriamo o che, nella migliore delle ipotesi, trascuriamo. Qualcosa che, lentamente, ci sta uccidendo.